Ringrazio il mio amico Alessandro per avermi donato questo suo racconto che condivido con voi. Buon lettura!
Un silenzio che canta
Tre, il numero che è sintesi di perfezione in numerose civiltà antiche. Tre, come le notti dei canti pasquali in tempi di Quaresima e non di quarantena. Da moltissimi decenni nel Salento si tiene viva la tradizione del “Santu Lazzaru” (nel sabato che precede la domenica della Palme), “Le Matinate” (nella notte del sabato di Pasqua) e “Le Ringraziate” (nel sabato successivo, che porta alla Domenica in albis). Quest’ultimo avvenimento sonoro è raro a causa della tonalità alta da raggiungere nel ringraziare la disponibilità ad accogliere in casa i viandanti notturni e rifocillarli, principalmente con uova depositate delicatamente nei panieri di vimini, fino al farsi dell’aurora.
Il “Santu Lazzaru” o “Lazzarenu“, nenia altalenante fra toni alti e bassi, che narra il tempo sospeso attendendo la luce deflagrante di un giorno nuovo, lascia spazio al canto acceso della Luce di rinascita: le “Matinate”, annuncio dell’inimmaginabile gioia per la fine del buio e ritorno alla solarità dello Spirito, scivolando poi nella cortesia di comunità. Questo nomadismo fra le strade, nell’anno 2020 d. C. (durante Coronavirus) è stato immaginario, pescando suoni e volti dalla memoria, connettendo musici e cantori dal salotto di casa attraverso gli schemi di smartphone, per legare la distanza del passato ai nodi del presente.
Protagonista è stata l’assenza, fra marciapiedi e lampioni balbettanti. I cimbalini dei tamburelli stati le foglie tintinnanti di alberi solitari sull’asfalto. Fisarmoniche senz’aria hanno rubato il tempo a chitarre senza corde. Galleggiando nell’attesa che passi l’attesa, in cerca della cura alla chiusura obbligatoria. I campi punti da steli sottili di grano – che saranno pane – fanno venire la voglia di perdersi nell’abbraccio ad ogni singola spiga, come fosse un mare totale che tutto ingoia e poi scompare. E’ affiorata lenta la pelle del tamburo da sfiorare col tatto vibratile cadenzato di un ritmo grave, nell’apnea della speranza che vive la parola dei cantori. Fino a liberarsi nel finale sismico, unico deragliamento concesso all’atmosfera ombrosa degli episodi evangelici fluttuanti tra sangue e tradimento, amore definitivo e potere della paura, umori del popolo e tremolìo del cielo. Scoppio di luminescenza totalizzante. Nelle ore degli abbracci vietati dalla legge – come negli incubi siderali – e dei baci proibiti per decreto (tranne quello di Giuda), l’immagine dei corpi strappati alla vita in un calvario che assedia il respiro, è tornata in ogni singolo fotogramma dei cammini sonori fatti in precedenza. La nota che tace sotto la luna aspetta la fioritura di nuove primavere. La vita in catacombe, più o meno comode, permette la massima libertà nel terreno virtuale e promette punizioni nel mondo vero. Un popolo di formiche scaverebbe tunnel impensabili per dare un senso di luminescenza al proprio sopravvivere. Un graffio di sostanza. Una forma di resurrezione. Le processioni scandite dalla lentezza si sono trasformate in file davanti al tempio contemporaneo della materia : il supermercato, con gli scaffali al posto delle stazioni, sconsacrando la vita verticale nella mercificazione estesa. La religione del consumare non concede tregua, travolge ogni cosa, accarezzando. Dagli apostoli chiusi in casa per paura, agli apostoli della paura, cavalcata e brandita come strumento controllo. Nel gioco del caos, la Dea Nemesi può avere una mano di carte vincente e mettere i diffusori di allarme nel bersaglio della sorte, accompagnando tale rappresentazione a risa di scherno da parte degli stessi spettatori plaudenti del passato recente.
L’incerto crepuscolo della stagione frantuma le vocali dal soffitto del mondo al suolo, circondati dallo stesso volo. Non ci resta che radicare nella moltitudine la virtù di una bellezza mai nascosta e che nei giorni anomali che stiamo vivendo rischia di sgretolarsi. Da qualche parte, nel ricordo, una luna di madreperla fa la guardia all’armonia, coi crateri del perdono vigilanti su qualche distratta stonatura. Arriverà il finale di marea montante e festanti come tarantelle della Pasqua, tripudio luminoso del Mistero ed estuario di meraviglia condivisa.
Alla fine di questa inconsuetudine, su suggerimento dei secoli, un grande falò farà fiamma dei dolori, sotto il vento delle nostre dimenticanze. Un lampo di dubbio troverà strada nei nostri passi : vedremo il mondo con gli stessi occhi?
Alessandro Errico